giovedì 29 agosto 2013

OBBLIGO DI VIGILANZA SUGLI ALUNNI E RESPONSABILITA’ DEL DOCENTE

Questo scritto vuole essere un mero contributo finalizzato da una parte ad offrire alcuni elementi di chiarezza giuridica e dall’altra ad evidenziare alcuni punti "critici" che costituiscono ancora "zone d’ombra".
E’ opportuno delineare in primo luogo lo specifico quadro normativo di riferimento che è di natura sia legislativa ( art. 2048 del Codice Civile relativo alla responsabilità dei precettori; art.61 della L. 11 luglio 1980 n. 312 concernente la disciplina della responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente educativo e non docente ) che contrattuale ( art. 42, 5° comma del CCNL del 14.8.95). Un riferimento alla vigilanza è presente anche nell’art.10 lettera a) del Testo Unico delle disposizioni vigenti in materia di istruzione n. 297 /94 in cui si prevede che il Consiglio di circolo o di istituto delibera sull’adozione del regolamento interno che " deve stabilire le modalità …. per la vigilanza degli alunni durante l’ingresso e la permanenza nella scuola, nonché durante l’uscita dalla medesima ".
In base a giurisprudenza risalente e consolidata , il personale insegnante delle scuole sia private che pubbliche rientra nella nozione dei cosiddetti " precettori " di cui all’art. 2048 , 2° comma del C.C.
Per l’applicabilità dell’art.2048 c.c. anche ai dipendenti statali cfr. Cass. Sez.Un. 3.2.72, n.260 ( in CED rv 356078) e Cass. Sez. Un. 9.4.73 , n.997 , in CED rv 363395) . Dunque, gli insegnanti in genere sono responsabili dei danni causati a terzi "dal fatto illecito dei loro allievi… nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. "
Ove si tratti di docenti di una scuola pubblica , la responsabilità si estende alla pubblica amministrazione in virtù del principio organico ai sensi dell’art.28 della Costituzione.
Soffermandoci sul dovere di vigilanza di cui sono investiti gli insegnanti, è necessario evidenziare che l’art. 2048 , 3° c . del c.c. prevede una responsabilità "aggravata"  a carico dei docenti in quanto essa si basa su di una colpa presunta , ossia sulla presunzione di una "culpa in vigilando", di un negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza sugli allievi, vincibile solo con la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto . E’ necessario cioè che venga provato da parte dell’insegnante il caso fortuito, ossia un evento straordinario non prevedibile o superabile con la diligenza dovuta in relazione al caso concreto ( età, grado di maturazione degli allievi, condizioni ambientali ecc) . La prova liberatoria è stata, inoltre, caricata dalla giurisprudenza di un contenuto nel tempo sempre più gravoso . I "precettori " non si liberano dalla responsabilità se non dimostrano in "positivo" di aver adottato in via preventiva le misure idonee ad evitare la situazione di pericolo favorevole alla commissione del fatto dannoso . (Cfr. Cass. Sez. Un. 9.4.73, n.997. cit. , ove si ritiene che la presenza dell’insegnante avrebbe potuto impedire l’evento dannoso con un intervento tempestivo finalizzato a dividere i due alunni che litigavano , evitando così che le ingiurie sfociassero in colluttazione.
Dinanzi ad una regola così rigorosa, resa ancor più severa dall’orientamento delle Corti sul piano della prova liberatoria , si impone qui una prima precisazione. La giurisprudenza di legittimità sull’art. 2048 c.c. registra due filoni interpretativi.
Secondo un primo orientamento, l’art. 2048 2° c. del c.c. prevede la responsabilità dei "precettori" nella sola ipotesi del danno causato a terzi dal " fatto illecito" dei loro alunni commesso nell’arco di tempo in cui essi sono sotto la loro sorveglianza. Invero, la giurisprudenza risalente ( cfr. Cass. 28.7.67 n. 2012, in CED rv 329060), ma non mancano pronunce recenti nel medesimo senso (Cass. civile sez. III, 10 febbraio 1999, n. 1135, in Giur. it. 2000, 507) , interpreta la norma in senso restrittivo per cui non ritiene sussistente la responsabilità prevista dall’art. 2048 nel caso di danno che l’alunno abbia causato a sé stesso.
Un secondo orientamento, invece, ha ritenuto applicabile la norma anche in questa seconda ipotesi . Si veda la già citata Cass. .3.2.72, n.260 ove si afferma che " la vigilanza è diretta ad impedire non soltanto che gli alunni compiano atti dannosi a terzi ma anche che restino danneggiati da atti compiuti da essi medesimi, da loro coetanei o da altre persone ovvero da fatti non umani ".
Finora si è fatto indifferentemente uso del termine " alunni " o "minori" . L’obbligo di vigilanza sugli "allievi" previsto dall’art. 2048 c.c. , così come il riferimento contrattuale alla vigilanza sugli "alunni" ( art. 42 , 5°c. CCNL 1995) non deve far ritenere che la responsabilità degli insegnanti possa estendersi anche a situazioni che vedano coinvolti alunni maggiorenni . Infatti, il fondamento di tale responsabilità è la violazione di quei doveri di vigilanza ed educazione che "presuppongono" la minore età degli allievi.
Dunque, sia che si applichi l’art. 2048 c.c. o l’art. 2043 c.c., con l’affidamento degli alunni all’istituzione scolastica si attua un trasferimento di quegli obblighi di vigilanza che di regola incombono sui genitori a tutela dei figli "minori" e che restano "sospesi" per il periodo di tempo connesso all’affidamento stesso . Sarebbe incoerente dal punto di vista sistematico che l’ordinamento gravasse gli insegnanti di una responsabilità per danni in relazione ad alunni maggiori d’età quando la stessa resta invece esclusa per i genitori
Finora si è fatto genericamente riferimento all’affermazione di responsabilità del personale insegnante . Più correttamente si sarebbe dovuto parlare di responsabilità civile della pubblica amministrazione e di responsabilità patrimoniale degli insegnanti . Infatti, l’art.61 della L.312/1980 ( Nuovo assetto retributivo e funzionale del personale civile e militare dello Stato ) ha profondamente innovato la disciplina della responsabilità del personale della scuola per i danni causati a terzi nell’esercizio delle funzioni di vigilanza sugli alunni .
La lettera dell’art. 61 stabilisce che nel caso in cui l’Amministrazione " risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti a vigilanza ", la responsabilità patrimoniale degli insegnanti è limitata ai soli casi di dolo e colpa grave . Esso prevede, inoltre, che salvo rivalsa nelle suddette ipotesi di dolo o colpa grave, l’amministrazione si surroga al personale "nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi ".
Pertanto, in base a tale normativa, nell’ipotesi di responsabilità per culpa in vigilando gli insegnanti statali non rispondono più personalmente verso terzi rispetto ai quali risponde invece direttamente l’Amministrazione su cui viene a gravare la responsabilità civile nelle azioni risarcitorie, salvo rivalsa dello Stato nei confronti dell’insegnante in caso di dolo o colpa grave .

CASISTICA E GIURISPRUDENZA
Quale che sia la norma applicata , la responsabilità degli insegnanti e dell’ente scolastico incontra il limite esterno della temporalità dell’obbligo di vigilanza. Per ricorrente giurisprudenza l’obbligo della sorveglianza si protrae per tutto il tempo dell’affidamento dell’alunno all’istituzione scolastica (Cfr. in tal senso Cassazione civile, sez. I, 30 marzo 1999, n. 3074, in Giust. civ. Mass. 1999, 715) e quindi dal momento dell’ingresso nei locali e pertinenze della scuola sino a quello dell’uscita , compreso anche il tempo dell’eventuale trasporto degli alunni da casa a scuola e viceversa , se organizzato in proprio dall’istituto (Cassazione civile, sez. III, 5 settembre 1986, n. 5424,in Nuova giur. civ. commentata 1987, 493). La responsabilità della P.A., ai sensi degli artt.2043/2048 c.c., sussiste anche al di fuori dell’orario scolastico, se è stato consentito l’ingresso anticipato nella scuola o la sosta successiva ( Cassazione civile, sez. III, 19 febbraio 1994, n. 1623, in Giust. civ. Mass. 1994, ).

Entro tale lasso di tempo rientrerebbero quindi non soltanto i momenti in cui si svolgono le attività strettamente didattiche ma anche tutti gli altri momenti della vita scolastica , ivi compreso quello della cosiddetta ricreazione , lo spostamento da un locale all’altro della scuola, il servizio di mensa , le uscite, i viaggi di istruzione ecc.
Gli allievi sono affidati agli insegnanti statali, di norma, tramite i provvedimenti adottati dai capi di istituto relativi all’assegnazione dei singoli docenti alle classi e alla predisposizione dell’orario di insegnamento articolato settimanalmente o in modo flessibile alla stregua, in particolare ,delle norme connesse all’autonomia scolastica ( art. 21 L. 59/1997 e gli artt. 4 e 5 del Regolamento sull’autonomia didattica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche, DPR n.275/1999 ) e della disciplina contrattuale ( art.24, CCNL del 26.5.99 ) . Gli insegnanti sono pertanto tenuti alla sorveglianza sugli alunni e rispondono della loro incolumità nell’esecuzione degli specifici obblighi di servizio definiti contrattualmente ( cfr. l’art. 41 e 42 , 5° c. del CCNL del 1995 ) e quindi in occasione delle attività definite di insegnamento ( nelle quali rientrano le attività didattiche frontali , gli eventuali interventi didattici ed educativi integrativi , l’assistenza alla mensa e tutte le altre attività collegate al completamento dell’orario di servizio ), così come durante i cinque minuti precedenti l’inizio delle lezioni, durante i quali gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe per accogliere e vigilare sugli alunni . I docenti rispondono in tutti i casi in cui singoli alunni o gruppi di alunni , provenienti anche da classi diverse , sono ad essi espressamente affidati per svolgere attività curriculare o extra-curriculare, nell’ambito sia dell’orario d’obbligo che in caso di svolgimento di attività aggiuntive di insegnamento deliberate dal Collegio Docenti.
Ma quid iuris in tutte quelle circostanze non ben definite che possono verificarsi quotidianamente o comunque assai frequentemente durante l’orario scolastico ? A scopo esemplificativo si potrebbe menzionare l’eventualità di un ritardo o di assenza del docente che deve prendere "in consegna " la classe al cambio dell’ora di lezione o la possibilità che la pausa della ricreazione si svolga contemporaneamente in locali diversi dell’istituto scolastico ( classe-corridoio-cortile ) , o l’ipotesi in cui più classi risultino scoperte a causa dell’assenza di alcuni insegnanti e ad altre simili situazioni .
I capi di istituto ( i quali potrebbero essere chiamati a rispondere di eventuali danni sofferti dagli allievi per carenze di misure organizzative finalizzate alla predisposizione di una adeguata sorveglianza sui minori ), allo scopo di evitare possibili attribuzioni di responsabilità impartiscono, di norma, disposizioni , generali o mirate a specifiche situazioni , nelle quali viene richiesto ai docenti di garantire la vigilanza sugli alunni .Tali disposizioni , spesso estremamente generiche , prive cioè di effettive indicazioni organizzative , sono di fatto sostanzialmente finalizzate a realizzare " l’affidamento indifferenziato " di un numero imprecisato di alunni ai docenti e a gravarli così di una sorta di " obbligazione di risultato" . A titolo esemplificativo, si possono citare circolari in cui si richiede , ai docenti dell’ora antecedente la ricreazione, di garantire la vigilanza sugli alunni durante l’intervallo " sia " nei corridoi "sia " all’interno delle classi, o in cui si dispone che gli insegnanti presenti assicurino la sorveglianza delle classi "scoperte" fino alla copertura delle stesse o in cui si richiede in modo imprecisato ai docenti di collaborare per "garantire la sorveglianza sugli alunni minori " anche in occasione dei periodi di cosiddetta " autogestione" studentesca " riconosciuta " dall’autorità scolastica .

Dinanzi a tali disposizioni , che comunque potrebbero essere foriere di possibili affermazioni di responsabilità da parte di una giurisprudenza , come si è visto , estremamente severa nel valutare la condotta degli insegnanti in materia di vigilanza, l’unica soluzione sembra essere quella di una copertura assicurativa per i rischi connessi ad un’azione di rivalsa da parte della pubblica amministrazione condannata a risarcire il danno subito dal minore .
Infatti, se da un lato le disposizioni dei capi di istituto risultano spesso più funzionali alla loro esigenza di andare esenti da responsabilità che ad una realistica , effettiva ed efficace organizzazione della vigilanza, non e’ da escludere che, nonostante la più scrupolosa attenzione dell’insegnante, il comportamento di quest’ultimo potrebbe essere comunque oggetto di censura. Invero, le comprensibili aspettative dei genitori del minore danneggiato trovano sovente ascolto da parte di una magistratura che per soddisfarne le pretese risarcitorie risulta più incline a condannare la P.A. e poco propensa a valorizzare "le ragioni" del docente.
Sarebbe pertanto auspicabile , ad avviso di chi scrive, un maggior impegno da parte dei dirigenti scolastici sotto il profilo della predisposizione delle misure organizzative necessarie a realizzare una vigilanza adeguata sui minori che nel contempo circoscrivano obblighi e responsabilità dei docenti.
Si sottolinea , infine, che l’affidamento dei figli minori all’amministrazione scolastica e , per il suo tramite al personale docente , non esclude la responsabilità dei genitori per il fatto illecito da quelli commesso. Infatti la responsabilità del genitore ai sensi dell’art.2048 , 1° c., e quella del precettore , ex art.2048, 2° c., per il fatto commesso dal minore capace durante il tempo in cui è ad esso affidato , non sono tra loro alternative ma concorrenti , poiché l’affidamento a terzi solleva il genitore soltanto dalla presunzione di colpa in vigilando, , non anche da quella di colpa in educando , " rimanendo i genitori tenuti a dimostrare di aver impartito al minore un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti " (cfr. Cass. 21 settembre 2000, n.12501, in Giust. Civ., 2000, I, 2835 ; cfr. anche Cass. 26 novembre 1998 n.11984, in Giust. Civ. mass. 1998, 2460 , secondo cui l’inefficacia dell’educazione impartita dai genitori, ai fini dell’affermazione della loro responsabilità per il risarcimento del danno causato dai loro figli , è desumibile anche dalla condotta di questi in violazione di leggi e regolamenti) . Nel caso di specie , il minore si era allontanato da scuola durante l’orario scolastico alla guida di un motorino altrui, senza avere il patentino, con a bordo una compagna di cui aveva provocato la morte in uno scontro contro un’auto . Nello stesso senso si veda . anche Cass. 9 ottobre 1997 n. 9815, in Studium Juris, 1998, 426, e Cass. 1.4.80, n. 2119 .
La condotta del minore può essere quindi ricondotta in parte o in via esclusiva ai genitori per culpa in educando ; pertanto anche essi possono essere chiamati a rispondere in solido con l’insegnante per il fatto dell’allievo . Va qui ribadito che , ai sensi dell’art. 61 della L.312/80 , l’insegnante statale non può più essere chiamato a rispondere direttamente ne’ per il danno causato dall’alunno a terzi ne’ per il danno procurato dall’allievo a sé stesso. Legittimata passiva nell’azione risarcitoria promossa da terzi può essere solo la Pubblica Amministrazione. Quest’ultima , a seconda dell’andamento del contraddittorio processuale, potrebbe rispondere sia in via esclusiva, sia in solido con i genitori del minore corresponsabili per culpa in educando, se non addirittura ( ma si tratta di una mera ipotesi) in solido con lo stesso minore capace. La Pubblica Amministrazione condannata a risarcire il danno , come si e’ gia’ avuto modo di evidenziare, può agire in rivalsa sull’insegnante in caso di dolo o colpa grave . Nel caso in cui la pubblica amministrazione sia stata condannata in solido con i genitori del minore ed abbia provveduto al pagamento dell’intera obbligazione, la stessa può agire in regresso su di loro .
In definitiva, alla luce dei diversi orientamenti giurisprudenziali , quale è dunque la condotta che il personale insegnante dovrebbe prudentemente tenere al fine di evitare un’eventuale affermazione di responsabilità a suo carico ?
A titolo esemplificativo , chi scrive è dell’avviso che , se il docente , valutate le circostanze concrete ( età degli alunni , grado di maturazione effettivo degli stessi , capacità di autocontrollo ed affidabilità , presenza o meno di alunni portatori di handicap , caratteristiche ambientali ecc. .) , ritiene che la situazione non sia del tutto priva di rischi , non deve allontanarsi per recarsi in un’altra classe, anche in caso di ritardo prolungato dell’insegnante a cui dovrebbe passare "in consegna " gli alunni . Dinanzi all’alternativa tra sacrificio del diritto allo studio e tutela dell’incolumità personale dei minori , non può che soccombere il primo , nonostante le ovvie conseguenze negative sul piano della didattica ed il possibile verificarsi di situazioni "paralizzanti " , ove due o più insegnanti , si attendano a vicenda .
Analogo comportamento dovrebbe tenersi nel caso in cui il docente avesse cessato il suo orario di servizio e non sarebbe quindi contrattualmente obbligato a trattenersi nell’istituto scolastico . Anche in questa ipotesi, la vigilanza sull’incolumità del minore dovrebbe prolungarsi per il tempo necessario a rendere nota la situazione all’amministrazione scolastica e permettere ad essa di provvedere ad organizzare l’affidamento dei minori ad altri docenti a disposizione o , in mancanza , di predisporre la sorveglianza su di essi con altri mezzi ritenuti idonei ( tra quelli più ricorrenti , la divisione della classe " scoperta " in piccoli gruppi ripartiti tra più classi ).
Al contrario, il ritardo , anche non comunicato , o l’assenza dell’insegnante a cui avrebbe dovuto essere affidata la classe non costituisce fonte di responsabilità per il docente, perché è " compito della direzione scolastica provvedere comunque ad affidare gli alunni ad altro personale ( anche ausiliario) nei momenti di precaria e temporanea assenza dell’insegnante " ( Cfr. Corte dei Conti , Sez. I , 26 marzo 1992 n.86, in Riv. Corte conti , 1992, fasc. 2, 93) .
Per quanto riguarda l ‘intervallo , la giurisprudenza contabile ha recentemente confermato la sussistenza della responsabilità " del professore per colpa grave in vigilando per il danno derivante all’amministrazione scolastica dall’incidente occorso ad un alunno durante la ricreazione "(cfr. Corte dei Conti , Reg. Piemonte 11 ottobre 1999 n.1590 , in Riv. Corte conti, 2000, fasc. 1, 107; nella fattispecie l’alunno giocava con i compagni al " lancio del cancellino "). Si ritiene pertanto comportamento prudente, sotto la soglia dei quattordici anni, non allontanarsi dalla classe " affidata " o dal luogo assegnato per l’effettuazione della vigilanza sugli alunni .


CONCLUSIONI
Anche il mondo della scuola risente dell’aumentato tasso di litigiosità giudiziaria che da qualche tempo caratterizza la condotta dei danneggiati che, per il ristoro dei danni subiti, chiamano in giudizio ( anche se spesso non a torto) un qualche responsabile : il medico per presunta negligenza , il Comune che avrebbe trascurato la manutenzione del manto stradale, il condominio perché avrebbe contravvenuto ad una qualche normativa , e così via , per arrivare al docente che "avrebbe mancato" di vigilare sugli alunni. Gli spiragli offerti da qualche ponderata e ragionevole decisione ( che valorizza l’età dell’allievo o che non pretende l’impossibile dall’insegnante presente al momento del fatto) non sono sufficienti ad intaccare l’orientamento prevalente della giurisprudenza caratterizzato da un estremo rigore nel valutare la condotta dell’insegnante il quale, gravato dall’inversione dell’onere della prova, è destinato il più delle volte a soccombere nel relativo giudizio di danno (in prima battuta, invero, lo Stato e non egli direttamente). Nel procedimento civile , infatti, il docente, come si è più volte evidenziato, non è parte ( l’azione risarcitoria va promossa nei confronti della P.A. che è la sola legittimata passiva); pertanto, egli non partecipa ad un processo in cui si decide sulla sussistenza o meno della responsabilità della P.A. che ha come suo presupposto la colpa dell’insegnante.

L’esclusione dell’azione diretta contro il docente, solo in apparenza costituisce un vantaggio, mentre potrebbe rivelarsi al contrario una menomazione del suo diritto di difesa e un mero differimento di un suo coinvolgimento processuale ( dinanzi alla Corte dei Conti) nell’ambito di una azione di rivalsa nei suoi confronti da parte della P.A. condannata al risarcimento del danno.

CRITERI DI DETERMINAZIONE DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI / la costituzione di un nuovo nucleo familiare non è sufficiente per la riduzione dell'importo

L’assegno di mantenimento per i figli è determinato secondo i criteri indicati nell’art.156 c.c. che si riferisce alle “sostanze” ed alle capacità di lavoro professionale e casalingo dei genitori. Anche dopo la riforma conservano piena validità i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento ai criteri indicati dall’art. 148 c.c. e, pertanto, la capacità economica dei genitori dev’essere valutata in ragione del complessivo patrimonio di ciascuno costituito da ogni forma di reddito o utilità quali, oltre al reddito, il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le quote sociali, i proventi di qualsiasi natura percepiti. La quantificazione dell’assegno, pertanto, non si fonda su una rigida comparazione patrimoniale di ciascun coniuge, come cerca di fare controparte, bensì sulla valutazione globale di più elementi come indicati negli artt.148 e 155 c.c.. Sarà compito dell’Autorità giudicante valutare anche la capacità di lavoro dei genitori tenendo presenti gli oneri economici che gravano su ciascuno di loro quali le spese per far fronte alle proprie esigenze abitative tra cui il canone di locazione (Cass. 3.8.07 n.17055).

In riferimento a intervenuti mutamenti delle condizioni economiche e di vita dovute alla costituzione di un nuovo nucleo familiare, come invocato da controparte, non è sufficiente a giustificare una diminuzione dell’importo dell’assegno di mantenimento. Infatti: secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in ultimo Cass. 22.3.2012 n.4551), “…ove, a sostegno della richiesta di diminuzione dell'assegno di divorzio, siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell'obbligato, il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento delle sue sostanze in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti, salvo che la complessiva situazione patrimoniale dell'obbligato sia di tale consistenza da rendere irrilevanti i nuovi oneri (Cass. civ., sezione 1, n. 25010 del 30 novembre 2007), Se quindi la costituzione di una nuova famiglia non rappresenta un automatico presupposto che impone la rideterminazione dell'assegno di mantenimento è altrettanto errato ritenere che il sistema normativo si basa su una considerazione di non necessarietà della scelta del coniuge obbligato”. In sostanza, poiché la costituzione di un nuovo nucleo familiare è espressione di una scelta e non di una necessità, le accresciute responsabilità non comprovano, automaticamente, una modifica delle condizioni economiche e non legittimano, di per sé, una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza.

Tribunalini soppressi: alcuni resteranno aperti per smaltire le pendenze


Proroghe in arrivo per i cosiddetti "tribunalini" soppressi: il ministro della Giustizia ha infatti firmato in questi giorni 42 decreti il cui effetto sarà quello di tenerne in vita alcuni o almeno i relativi uffici.
Ufficialmente, a mezzanotte del 13 settembre 2013 scatterà il taglio di 947 uffici giudiziari previsto dalD.Lgs 7 settembre 2012, n. 155: 30 tribunali, 30 procure, 220 sezioni distaccate e 667 sedi di giudice di pace in meno.
Grazie però ai provvedimenti firmati da Annamaria Cancellieri alcuni di essi non chiuderanno in maniera definitiva: gli edifici degli uffici soppressi saranno infatti in molti casi ancora usati per l'attività giurisdizionale, soprattutto ai fini dello smaltimento del contenzioso pendente. L'articolo 8 del D.Lgs 7 settembre 2012, n. 155 prevede infatti che "quando sussistono specifiche ragioni organizzative o funzionali [...] il Ministro della giustizia può disporre che vengano utilizzati a servizio del tribunale, per un periodo non superiore a cinque anni [...] gli immobili [...] adibiti a servizio degli uffici giudiziari e delle sezioni distaccate soppressi".
Il tribunale di Cuneo per esempio utilizzerà per i prossimi 3 anni e mezzo i locali delle sedi "formalmente" soppresse di Mondovì e di Saluzzo per tre anni e sei mesi.
Elenco delle proroghe:
  • sei mesi di proroga ai tribunali di Vigevano e Voghera, alla procura di Voghera e alla sede distaccata di Abbiategrasso;
  • dieci mesi al tribunale di Pinerolo e alle sezioni distaccate di Moncalieri e Susa;
  • un anno alla procura di Pinerolo e alle sezioni distaccate di Ischia, Marano di Napoli e Casoria;
  • due anni di proroga alla sezione distaccata di Terracina e alla sezione distaccata di Tortona;
  • tre anni al tribunale di Casale Monferrato;
  • tre anni e mezzo alle sezioni soppresse di Mondovì e Saluzzo;
  • cinque anni alla sezione distaccata di Acqui Terme nonché al tribunale e alla Procura di Lucera.
Annamaria Cancellieri, intervistata oggi da Radio 1 Rai, nel corso della trasmissione "Start" ha inoltre voluto precisare che "nelle zone ad alto tasso di criminalità non sono stati chiusi i tribunali. Nei correttivi che porremo probabilmente nei prossimi giorni - e uso il condizionale perché devo valutarli con Camera e Senato - non ci saranno più situazioni a rischio in zone ad alto tasso di criminalità. Quello che conta è che gli uffici funzionino e che siano strutturati bene".
Nel frattempo 40 sindaci del Piemonte hanno riconsegnato simbolicamente la fascia tricolore alla prefettura di Cuneo come segno di protesta contro la chiusura del tribunale di Alba. 
Allo stato attuale la disciplina pratica dei debiti con Equitalia è la seguente.     Rateizzazione 1) Per debiti fino a 50 mila euro, il contribuente può chiedere una rateizzazione fino a 72 rate mensili con una semplice istanza di parte, priva di alcuna formalità.   2) Per debiti fino a 50 mila euro, il contribuente può chiedere una rateizzazione fino a 120 rate mensili a condizione che, nell’apposita istanza, egli dimostri che, per ragioni estranee alla propria responsabilità versi in una comprovata e grave situazione di difficoltà economica legata alla congiuntura economica.     Decadenza dal beneficio Cambia la disciplina anche riguardo alla decadenza dal beneficio. Se, in precedenza, la rateizzazione veniva revocata in caso di mancato pagamento di due rate consecutive, oggi invece ciò si verifica solo in caso di mancato versamento di otto rate, anche se non consecutive, nell’arco del complessivo piano di dilazione.  

DEBITI CON EQUITALIA? E' POSSIBILE LA RATEIZZAZIONE!

Allo stato attuale la disciplina pratica dei debiti con Equitalia è la seguente.    
Rateizzazione 1) Per debiti fino a 50 mila euro, il contribuente può chiedere una rateizzazione fino a 72 rate mensili con una semplice istanza di parte, priva di alcuna formalità.  
2) Per debiti fino a 50 mila euro, il contribuente può chiedere una rateizzazione fino a 120 rate mensili a condizione che, nell’apposita istanza, egli dimostri che, per ragioni estranee alla propria responsabilità versi in una comprovata e grave situazione di difficoltà economica legata alla congiuntura economica.    
 Decadenza dal beneficio Cambia la disciplina anche riguardo alla decadenza dal beneficio. Se, in precedenza, la rateizzazione veniva revocata in caso di mancato pagamento di due rate consecutive, oggi invece ciò si verifica solo in caso di mancato versamento di otto rate, anche se non consecutive, nell’arco del complessivo piano di dilazione. 

Assegnazione della casa alla moglie col figlio e con il nuovo compagno 

Se il giudice ha dato il figlio in affidamento alla madre, a quest’ultima spetta la casa coniugale anche se inizia una nuova convivenza con un altro uomo. Dunque, l’ex marito non può chiedere la decadenza dell’assegnazione solo sulla base di tale motivazione. E ciò vale anche se il figlio diventa maggiorenne ma non è ancora economicamente autonomo. È infatti prioritaria l’esigenza di tutelare gli interessi della prole.

La Corte ha ricordato che non c’è nessun automatismo tra la revoca dell’assegnazione della casa e lacreazione di un nuovo nucleo familiare da parte della donna. La decadenza dall’assegnazione della casa può derivare solo previa verifica dell’interesse del minore.

In primo piano resta dunque l’esigenza di non pregiudicare la serenità dei figli, aggiungendo agli inevitabili disagi del divorzio dei genitori anche quelli collegati a un allontanamento dalla casa familiare.
[1] Cass. sent. n. 15753/2013.