mercoledì 5 dicembre 2012

Canone Rai: dopo i 75 anni non si deve più pagare!!



Domanda: È vero che dopo 75 anni non si deve più pagare il canone RAI?
Risposta: si.
Il “canone RAI”, pagato da tutti i cittadini, in realtà per alcune categorie di utenti non è più obbligatorio.
Secondo la legge più recente infatti, le persone di età pari o superiore a 75 anni e con un reddito mensile non superiore a 516,46 euro (complessivo annuo pari a € 6.713,98), hanno diritto all’esenzione per il pagamento del canone rai.
Affinché si possa usufruire di questa esenzione è necessario presentare all’Agenzia delle Entrate la domanda di esenzione.

Il modello è presente alla sezione “Formule” di questo portale a questo indirizzo

Chi ha già pagato il canone pur rientrando nei casi dell’esenzione può chiedere il rimborso di quanto ha pagato per gli anni passati, presentando istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate.
 

giovedì 15 novembre 2012

NASCE LA RETE ANTI/CARTELLE

L’aggio di Equitalia è troppo alto: la cartella va ridotta



Equitalia non può chiedere un aggio [1] elevato se la sua attività si è limitata solo alla notifica della cartella esattoriale: il compenso richiesto al contribuente, infatti, va rapportato all’attività concretamente svolta dall’Ente di riscossione e non può, perciò, raggiungere importi privi di alcuna giustificazione.

Una sentenza che scrive una nuova pagina del diritto per l’Ente di riscossione, quella appena resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso [2].

Innanzitutto ricordiamo cos’è l’aggio. Si tratta di una somma (stabilita in misura percentuale) su ogni cartella esattoriale che va a finire ad Equitalia come compenso per sua attività di riscossione dei crediti.
Entro 60 giorni dalla notifica della cartella, l’aggio è a carico del debitore per il 4,65%, mentre il restante 4,35% è a carico dell’ente creditore (per es. l’Agenzia delle Entrate, l’Inps o qualunque altro ente che sia il titolare dell’imposta). Oltre i 60 giorni l’aggio è totalmente a carico del debitore nella misura del 9%. Questa percentuale si ridurrà di un punto, passando quindi all’8%, sui ruoli emessi dall’1 gennaio 2013, come previsto dal decreto Spending Review [3].

Nel condannare Equitalia, i giudici della Commissione di Treviso sono partiti da una premessa. L’aggio deve essere considerato non come una sanzione per il contribuente, ma come un “compenso”: compenso che va pagato ad Equitalia per l’attività da quest’ultima svolta per recuperare il credito e che va quindi parametrato a tale attività.

Se dunque l’attività è consistita solo nella spedizione di una busta con la cartella di pagamento, e dopo il contribuente ha pagato immediatamente la sanzione, senza quindi dar luogo ad ulteriori atti di esecuzione da parte dell’Ente di riscossione, l’aggio non può raggiungere una somma spropositata. Così, per es., su una cartella da 1.000.000 di euro, l’aggio corrisponderebbe a ben 46.500,00 euro: una cifra decisamente spropositata se rapportata alla semplice notifica di una cartella.

Dunque, secondo la sentenza in commento, l’aggio richiesto da Equitalia non si può trasformare in una “sanzione mascherata” a carico del contribuente. È assurdo che venga chiesto un pagamento così esoso anche in presenza di un adempimento spontaneo da parte del contribuente, senza che Equitalia abbia svolto ulteriori attività di riscossione.

Se così è, allora spetta al creditore spiegare e dimostrare quale sia l’attività svolta a fronte della quale viene richiesto un compenso, come avviene nel processo civile, «perché la semplice tabulazione astratta di un compenso non è sufficiente».


[1] L’aggio è la somma che Equitalia percepisce per la sua attività di riscossione dei crediti. [2] Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, sent. n. 84 del 25.09.2012.
[3] D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 135.

mercoledì 9 maggio 2012

Equitalia: interviene definitivamente la Cassazione. Dopo il 2008 nulle gran parte delle cartelle

Equitalia: interviene definitivamente la Cassazione. Dopo il 2008 nulle gran parte delle cartelle

Ennesimo giro di vite della Cassazione [1] sulle cartelle criptiche e poco chiare di Equitalia; la nuovissima sentenza della Corte prende di mira tutti gli avvisi di riscossione notificati dopo giugno 2008. Essi devono considerarsi nulli se:

1) non contengono l’indicazione della base di calcolo degli interessi: ossia omettano di indicare, in modo dettagliato, le aliquote applicate per ciascuna annualità di mora. Saranno quindi illegittime “tutte le cartelle che riportino solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza indicare come si è arrivati a tale calcolo, non specificando le singole aliquote prese a base delle varie annualità”.
È irrilevante che l’accertamento si sia concluso e che il cittadino ne sia già stato messo a conoscenza. Non importa neanche che la cartella sia stata emessa sulla base di una sentenza divenuta definitiva e che gli interessi siano stati calcolati sulla base dell’art. 20 del DPR n. 602 del 1973.

2) non contengono il nome e la sottoscrizione del funzionario responsabile del procedimento (si tratta delle cosiddette “cartelle mute”)

Le cartelle invece che siano state notificate prima del giugno 2008 restano valide.

Un polverone quello che si sta abbattendo, in questi giorni, su Equitalia: prima con la riesumazione, da parte del settimanale “L’Espresso” della occultata sentenza della Cassazione del 2007, poi con i problemi delle notifiche lacunose o effettuate da soggetti non legittimati.

Cass. sent. n. 4516 del 21.03.2012.

giovedì 26 aprile 2012


FOTOVOLTAICO BLUFF
IL  CASO DEI "1000 Gazebo Fotovoltaici" –

ACCOLTO IL RICORSO DI ALCUNI CLIENTI –

IL TRIBUNALE SOSPENDE LE RATE DELLA FINANZIARIA


Il Primo round si chiude a favore di quei clienti rimasti con un palmo di naso. Il Giudice del Tribunale di Cassino – sezione di Sora – ha accolto il ricorso presentato dall’Avv. Maurizio Morelli di Atina per alcuni clienti contro la società che ha finanziato il progetto bluff dei pannelli solari “1000 gazebo fotovoltaici” in Provincia di Frosinone.

Da tempo ci si sta occupando della vicenda che vede coinvolte anche numerose famiglie della Valle di Comino nell'odissea dei gazebo fotovoltaici, oggetto del bando indetto dall'Amministrazione Provinciale di Frosinone ed Apef, in collaborazione con la proponente Energesco s.r.l.. Le notizie succedutesi nel tempo, tra presunte inadempienze della società installatrice ed azioni legali a tutela dei malcapitati, non hanno di certo sollevato il morale, di chi si è visto costretto a sborsare circa 340 euro al mese senza ottenere alcun rimborso da parte della società capitolina. La stessa società, infatti, secondo quanto stabilito dal progetto «1000 gazebo fotovoltaici», avrebbe dovuto installare impianti di piccola taglia (3 KW) ed occuparsi della gestione e manutenzione degli stessi per venti anni. Avrebbe dovuto, inoltre, rimborsare al cliente le rate del contratto di finanziamento erogato dalla Santander Consumer Bank S.p.A. agli aderenti. In sostanza i cittadini, a fronte di una richiesta di credito per circa 28 mila euro, restituiti mensilmente dalla Energesco, avrebbero goduto dello «scambio sul posto» tra l'energia prodotta e consumata per due decenni al solo costo delle spese di istruttoria ( 500 euro, ognuna). La necessità di risparmiare, anche sulla bolletta, l'intenzione di sfruttare energie rinnovabili e la fiducia riposta nella presenza istituzionale della Provincia avevano indotto, pertanto, le famiglie a partecipare a tale progetto. Una bella favola, insomma, degna di avere un lieto fine. Peccato però che dal mese di ottobre 2010 c'è stato il blocco della restituzione delle rate di finanziamento. La svolta è arrivata, qualche giorno fa, per noveaderenti che tramite lo studio legale Morelli di Atina hanno ottenuto la sospensione delle rate della finanziaria.

Con grande soddisfazione ho letto il provvedimento del Giudice del Tribunale di Cassino – Sez. di Sora, dott.ssa Ciuffi, che ha accolto il ricorso ex art.700 cpc volto alla sospensione delle rate della finanziaria che i clienti erano – fino a ieri – costretti a pagare poiché vittime di un inganno perpetrato nei loro confronti da una società che sta mietendo vittime in tutta Italia. Mi auguro che anche gli altri Tribunali di tutta Italia (a breve discuterò della medesima questione anche presso il Tribunale di Tivoli) che sono stati investiti dalla vicenda seguano le orme del Tribunale di Cassino – sez. di Sora – che ha riconosciuto le regioni dei ricorrenti. Allo stato attuale, si calcola che siano un migliaio i ‘truffati’: 400 in Umbria, 180 a Frosinone, altrettanti a Udine e a Ragusa e altri, meno numerosi, nel resto d’Italia, che stanno pagando la loro scelta ecologica.

                                                                                  Avv. Maurizio Morelli

mercoledì 4 aprile 2012




Nulle le cartelle esattoriali via posta: la Giurisprudenza conferma

Una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sent. CTP n.197/05/11) si allinea ad altre precedenti pronunce di altri Giudici tributari, secondo le quali risulta addirittura inesistente la notifica della cartella inviata a mezzo posta direttamente dai dipendenti di Equitalia e senza l’ausilio dei soggetti individuati dalla legge:

 1.gli Ufficiali della riscossione;

 2.gli Agenti della Polizia Municipale;

 3.i Messi Comunali, previa convenzione tra Comune e Concessionario;

 4.altri soggetti abilitati dal Concessionario nelle forme previste dalla legge.

La Commissione Tributaria di Lecce ha già chiarito in precedenti occasioni che la notifica degli atti ad opera del concessionario della riscossione non può essere simile a quella dell’Agenzia delle Entrate, dove invece è ammesso l’invio diretto dei propri atti per posta.

Ciò deriva dal fatto che per l’Amministrazione finanziaria si applica la legge n.890/82, dove l’art. 14 prevede “la notifica degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente anche a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”. Detta previsione, però, è chiaramente riservata agli uffici che esercitano potestà impositiva, con esclusione degli agenti della riscossione che sono preposti solo alla fase riscossiva.

Peraltro, l’attuale articolo 26, come appunto sostituito dall’art. 12 del D.lgs. n.46/99, ora dispone che “la cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento”.

Proprio per tale motivo, i giudici di Lecce nella sentenza in oggetto chiariscono che la cartella inviata per posta è illegittima poiché «… l’art. 26 … nella formulazione successiva alla riforma della riscossione mediante ruolo (DLgs 46/99 e Dlgs 112/99) ha riservato agli uffici che esercitano potestà impositiva (e quindi solo all’Agenzia delle Entrate) la possibilità di notificare avvisi e altri atti anche a mezzo posta …».

Pertanto, qualora dovesse risultare l’invio delle cartelle per posta direttamente da parte del concessionario (attraverso suoi dipendenti sprovvisti dei requisiti previsti dalla legge) gli atti sono da ritenersi inesistenti.


mercoledì 21 marzo 2012


Equitalia deve risarcire l’ipoteca illegittima

Ipoteche e cartelle “pazze”: se l’azione del concessionario della riscossione è illegittima il contribuente ha diritto al risarcimento dei danni. Ciò è quanto emerge da una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari (sent. CTP di Bari n.36/08/10), la quale ha condannato Equitalia al pagamento di euro 15.000 a titolo di risarcimento danni causati ad un contribuente pugliese.

La vicenda riguarda un’iscrizione ipotecaria effettuata dal concessionario della riscossione su immobili del contribuente a seguito di cartelle di pagamento non correttamente notificate.

In merito, è bene chiarire che se da una parte la legge permette al concessionario della riscossione di iscrivere ipoteche sui beni dei contribuenti, dall’altra ciò può avvenire solo a condizione che questi siano venuti realmente a conoscenza dei debiti tributari, attraverso la precedente notifica delle cartelle di pagamento.

Al riguardo, infatti, l’art. 77 del DPR n.602/73 prevede che “Decorso inutilmente il termine di cui all’articolo 50, comma 1 (ossia 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento), il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede”.

Proprio a seguito del mancato rispetto di tale articolo, i giudici di Bari chiariscono che a Equitalia va attribuita la responsabilità dei danni subiti dal contribuente poiché “ha proceduto all’iscrizione di ipoteca pur avendo consapevolmente provveduto alle notifiche in violazione della lett. C) del comma 1 dell’art. 60 del DPR n.600/73 (il quale prevede che la notifica debba essere effettuata necessariamente presso il domicilio fiscale del contribuente), in quanto era noto il domicilio fiscale cui andavano effettuate le notifiche per essere stati ritualmente notificati, come risulta dalla documentazione acquisita al processo e non contestata, atti inerenti ad altre precedenti vicende tributarie.

Il concessionario, dunque, aveva provveduto alla notifica delle cartelle presso un indirizzo diverso rispetto a quello di residenza del contribuente e pertanto in modo illegittimo.

I giudici pugliesi, infatti, chiariscono che “Tale comportamento di natura dilatoria e defatigante per il contribuente rivela, negli enti impositori, una mancanza assoluta di avvedutezza e di una sia pur minima consapevolezza della legittimità o meno del proprio agire e delle conseguenze che i propri atti andavano a determinare…”.


Per quanto riguarda, infine, il risarcimento dei danni, i giudici chiariscono che pur condividendo la posizione della Commissione Tributaria Provinciale (ossia i giudici di primo grado), la quale sostiene che manca la specifica quantificazione dei danni subiti dal contribuente, ribadiscono che “ciò non osta per l’ammissione della domanda riguardo al danno morale conseguente all’accertata inesistenza del diritto degli enti impositori a chiedere l’iscrizione ipotecaria sul patrimonio del contribuente e ai conseguenti disagi psicologici che tale condotta ha provocato”.


Secondo i giudici, quindi, la quantificazione dei danni può avvenire tranquillamente in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 del Codice civile.


martedì 13 marzo 2012


BLACKOUT ELETTRICO CAUSA NEVE: cosa fare per i rimborsi Enel

Rimborsi automatici e richiesta di risarcimento, le strade da seguire per il blackout elettrico causa neve sono due. Per la mancanza di luce i fronti che si aprono sono diversi.  In un caso, infatti, l’autorità per l’energia elettrica ed il gasi, prevede cifre forfettarie per interruzioni prolungate della fornitura di fornitura di energia elettrica: la delibera dell’Autorità n. 172/07 prevede, infatti, in caso di neve, che per i mancati ripristini delle forniture di energia elettrica dopo 8-16 ore di interruzione, a seconda della realtà territoriale di ‘alta, media bassa’ concentrazione, scatti un indennizzo di 30 euro più 15 euro ogni 4 ore di disservizio fino ad un tetto massimo di 300 euro. “Il rimborso – precisa l’avv. Maurizio Morelli – viene erogato direttamente come sconto sulle prime bollette. Per un cliente privato ed un contratto standard, il risarcimento varierà da 100 a 300 euro; per potenze maggiori, riguardanti ad esempio un bar, si potrà arrivare fino a 1.000; nel caso delle aziende, in bolletta potrà essere restituita una somma variabile da un minimo di 1.000 ad un massimo di 6.000 euro. Sono soldi che l’Enel dovrebbe applicare automaticamente in bolletta, senza che sia necessario farne richiesta.



Per chi ha avuto danni per il blackout legati al malfunzionamento delle caldaie o alla conseguente mancanza di acqua, oltre al rimborso automatico si può chiedere un rimborso del danno soggettivo subito (danni ad apparecchi, elettrodomestici, etc.), rivolgendo una contestazione scritta al proprio fornitore (magari con invio di una copia conoscenza al distributore locale) tramite messa in mora.

 Se gli alberi delle nostre città fossero stati oggetto di potature periodiche si sarebbero potuti senza dubbio limitare i danni. Allo spettacolo delle città imbiancate è seguito quello desolante che ciascuno ha potuto osservare a causa della carente manutenzione comunale: numerosissimi i rami di alberi caduti sotto il peso della neve che dalla mattinata di sabato 4 febbraio giacciono sul ciglio di strade e marciapiedi o che, ancor peggio, hanno danneggiato le vetture di cittadini colpevoli solo di averle posteggiate all’aperto”.

I cittadini possono inviare anche una diffida a mezzo raccomandata A.R. al Comune ed all’Enel chiedendo il risarcimento dei danni subìti.

Per maggiori info:


studio legale Avv. Maurizio Morelli – 0776.1806199 – studiomorelli@hotmail.com



RISARCIMENTO DANNI: La responsabilità della scuola di sci (Cassazione 2559/11)



Certo, la stagione sciistica è quasi finita (ho detto quasi, sia chiaro :-), ma non pare fuori luogo parlare della responsabilità della scuola di sci, per il danno autoprocurato dall'allievo.

Molto correttamente la Terza Sezione anzitutto premette che  sarebbe erroneo sia assumere che, per il solo fatto della caduta, la scuola sia responsabile delle lesioni riportate dall'allievo; sìa che, comunque, poichè una caduta è altamente probabile sicchè può essere considerata come un rischio accettato, delle lesioni subite dal minore la scuola non debba mai rispondere.

Il punto fondamentale è stabilire se la scuola abbia adempiuto le obbligazioni volte a garantire la sicurezza dell'allievo, per quanto è possibile. Ciò premesso, l'aspetto da considerare è quello relativo a CHI debba provare COSA. E per stabilirlo la Cassazione richiama la propria giurisprudenza in tema di lesione autoprocurata dall'allievo a scuola, ricordando come sia applicabile il regime previsto dall'art. 1218 del codice civile. Vale a dire:

“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.”

E per quanto concerne la lezione di sci, ai genitori sarà sufficiente addurre il fatto della lesione durante la lezione, mentre

Compete invece alla scuola provare che le lesioni sono state conseguenza di un fatto alla stessa non imputabile.



TESTO DELLA SENTENZA:

Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-02-2011, n. 2559



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE



ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31369-2006 proposto da:



***** in proprio e quale esercente la potestà legale sulla figlia minore *****, elettivamente domiciliata in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso; - ricorrente -

contro

SCUOLA SKI ***** in persona del legale rappresentante pro tempore, Sig. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ***** giusta delega a margine del controricorso; - controricorrente -

avverso la sentenza n. 92/2006 della CORTE D'APPELLO di TRENTO SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, emessa il 26/4/2006, depositata il 15/05/2006, R.G.N. 107/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO D'AMICO;

udito l'Avvocato ***** per delega dell'Avvocato *****;

udito l'Avvocato *****;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. FEDELI MASSIMO che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del ricorso.

Svolgimento del processo

*****, in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore *****. conveniva dinanzi al Tribunale di Bolzano la Scuola Ski - ***** per sentirla condannare al risarcimento del danno subito a causa dell'infortunio del quale era rimasta vittima la stessa *****, durante una lezione collettiva di sci, sotto la direzione e la sorveglianza di un maestro istruttore della medesima scuola.

Quest'ultima si costituiva negando la propria responsabilità per il sinistro.

Il Tribunale respingeva la domanda attrice, condannando la ***** a rifondere alla convenuta le spese processuali. Deduceva il Giudice che l'attrice aveva l'onere di provare, oltre all'esistenza del danno, anche il nesso di causalità fra quest'ultimo e l'inadempimento del maestro. Tale prova non era stata tuttavia offerta, mentre la Scuola aveva provato che il corso si svolgeva su una pista classificata come pista blu (facile)

Avverso tale sentenza proponeva appello *****.

Si costituiva la Scuola Ski - ***** insistendo per il rigetto dell'appello.

La Corte d'Appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano, respingeva l'appello proposto dalla ***** avverso la sentenza del Tribunale e condannava l'appellante a rifondere all'appellata le spese processuali.

Proponeva ricorso per cassazione ***** con tre motivi.

Resisteva con controricorso la Scuola Ski - ****.

Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2697 e 2727 ss. c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Il secondo motivo verte sulla "sussistenza di obblighi accessori di protezione e di garanzia, discendenti dal dovere di buona fede oggettiva, inadempiuti dalla debitrice scuola di sci: violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 e 1175 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

I due motivi, strettamente connessi, devono essere congiuntamente esaminati.

Ad avviso di ***** la Corte d'Appello di Trento ha erroneamente interpretato l'art. 1218 c.c. e sulla base di tale errata interpretazione ha ritenuto che incombeva sulla danneggiata l'onere di provare l'inadempimento della controparte e il nesso causale fra l'inadempimento stesso e il danno.

Sostiene altresì parte ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata risulta erronea per avere il Giudice dell'appello omesso di valutare come la scuola di sci sì sia resa inadempiente agli obblighi di protezione assunti ex contrada nei confronti della minore *****, optando per una restrittiva interpretazione del contenuto negoziale in esame.

Entrambi i motivi sono fondati.

Non v'è dubbio che l'affidamento di un bambino di cinque anni ad una scuola di sci perchè gli siano impartite lezioni (il che integra un contratto) comporti a carico della scuola l'assunzione di obbligazioni di protezione volte a garantirne l'incolumità. Ed è altresì ovvio che, per quanta cautela sia profusa dal maestro di sci, è pur sempre possibile che l'allievo cada, per l'intrinseca natura dell'attività che la scuola è richiesta di svolgere e perchè costituisce dato di comune esperienza che non è dato imparare a sciare senza incappare mai in cadute.

Sulla base di tali dati sarebbe erroneo sia assumere che, per il solo fatto della caduta, la scuola sia responsabile delle lesioni riportate dall'allievo; sia che, comunque, poichè una caduta è altamente probabile sicchè può essere considerata come un rischio accettato, delle lesioni subite dal minore la scuola non debba mai rispondere. Si tratterà invece di stabilire se la scuola abbia adempiuto le obbligazioni volte a garantire la sicurezza dell'allievo, per quanto è possibile.

Il problema è costituito dalla distribuzione degli oneri probatorii se, cioè, debba la scuola provare di aver fatto quanto doveva per salvaguardare la sicurezza (relativa) dell'allievo sicchè l'incidente non possa essere imputato alla stessa o al maestro della cui azione risponde; o se debba l'allievo (e, per lui, chi ne ha la potestà genitoriale) provare l'inadempimento della scuola.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c. (Cass., 3.3.2010, n. 5067).

Alla stregua di tale disposizione, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (Cass., S.U., 30.10.2001, n. 13533).

Dal vincolo negoziale sorto a seguito dell'accoglimento della domanda di iscrizione all'istituto scolastico e dalla conseguente ammissione dell'allievo alla scuola sorge infatti a carico del medesimo istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso. Nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche l'insegnante assume quindi uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona (Cass., 3.3.2010, n. 5067; Cass., 18.11.2005, n. 24456).

L'errore della corte d'appello consiste, dunque, nell'aver ritenuto che dell'inadempimento dovesse dar prova il creditore della prestazione. Esso è, in realtà, addotto per il fatto stesso che sia proposta una domanda di risarcimento per le lesioni conseguite ad una caduta e non v'è bisogno che sia prospettato in relazione ad eventi specifici, che la parte (madre del bambino) ovviamente ignora e che non versa nella possibilità di conoscere. Compete invece alla scuola provare che le lesioni sono state conseguenza di un fatto alla stessa non imputabile.

Nulla impedisce che la prova possa essere data anche a mezzo di presunzioni. Anzi, il procedimento di inferenza induttiva deve essere adeguato al contesto.

Ma se la prova manchi e la causa della caduta resti dunque ignota, il sistema impone che le conseguenze patrimoniali negative del fatto siano subite da chi abbia oggettivamente assunto la posizione di inadempiente e non del creditore della prestazione.

Con il terzo ed ultimo motivo parte ricorrente denuncia infine "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in punto alla liquidazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio".

Il motivo è assorbito.

In conclusione, i primi due motivi devono essere accolti con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d'Appello di Trento, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo. Cassa e rinvia alla Corte d'Appello di Trento in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Ubriaco dorme nell'auto in sosta? E' comunque guida in stato di ebbrezza

Cassazione penale , sez. IV, sentenza 10.02.2012 n° 5404

Risponde del reato di guida in stato di ebbrezza l'ubriaco che dorme, sul volante, in sosta. E' quanto ha stabilito la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 10 febbraio 2012, n. 5404.

Secondo il giudice nomofilattico, infatti, il reato in esame risulta integrato allorché sia stata acquisita la prova della deliberata movimentazione del veicolo in area pubblica, tale da creare pericolo alla circolazione o anche solo ad intralciare il traffico, e che ciò può assumersi, non solo allorché la persona sia sorpresa nell'atto di condurre un veicolo, ma anche nei casi, come di specie, in cui essa si trovi, a bordo di un veicolo in sosta e nelle condizioni di ripartire, in alterate condizioni psicofisiche.

La sentenza si pone all'interno del filone interpretativo dominante, ai sensi del quale, ai fini del reato di guida in stato di ebbrezza, rientra nella nozione di guida la condotta di chi si trovi all'interno del veicolo (nella specie, in stato di alterazione, nell'atto di dormire con le mani e la testa poste sul volante) quando sia accertato che egli abbia, in precedenza, deliberatamente movimentato il mezzo in area pubblica o quantomeno destinata al pubblico.

In materia di circolazione stradale, sempre secondo l'impostazione del giudice di legittimità, deve ritenersi che la "fermata" costituisca una fase della circolazione, con la conseguenza che é è del tutto irrilevante, ai fini della contestazione del reato di guida in stato di ebbrezza, se il veicolo condotto dall'imputato risultato positivo all'alcoltest fosse, al momento dell'effettuazione del controllo, fermo o in moto.

lunedì 12 marzo 2012

MEDIAZIONE OBBLIGATORIA: ancora un rinvio della Consulta per la decisione

Ancora un rinvio dalla Corte Costituzionale per la famigerata decisione sulla obbligatorietà della mediazione obbligatoria. Infatti, molto probabilmente, si dovrà attendere fine marzo, per la tanto sospirata pronuncia della Corte Costituzionale in ordine alla legittimità o meno, del decreto 28/2010 in materia di mediazione civile obbligatoria. Al rinvio "metereologico" per neve si è aggiunto un rinvio di carattere procedurale che sembra essere stato stato provocato proprio dalle correnti giurisprudenziali che contrastano, o quanto meno mettono in dubbio, la legittimità costituzionale della normativa.

E' del primo febbraio la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’ordinanza del Giudice di Pace di Catanzaro che sembra, aver emanato un’ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta per decidere su una similare questione. In conseguenza dell'ennesimo rinvio, se come da molti paventato si dovesse ricorrere ad una riunione delle varie questioni di legittimità sollevate dai vari giudici, i tempi per la fissazione dell'udienza e per il deposito delle deduzioni scritte si dovranno necessariemente allungare -venti giorni più venti giorni decorrenti dalla pubblicazione dell’ordinanza in Gazzetta Ufficiale - facendo così slittare la decisione, con ogni probabilità alla fine marzo 2012.

venerdì 9 marzo 2012

ALUNNO DURANTE UNA GITA SCOLASTICA SCAVALCA DAL BALCONE E CADE

Se l'alunno volontariamente scavalca un balcone precipitando dalla terrazza di un albergo, in occasione di una gita scolastica, ne rispondono l'albergatore, l'istituto scolastico ed il docente.
E' quanto ha stabilito la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 8 febbraio 2012, n. 1769.
La vicenda vedeva una ragazzina di 16 anni, dopo aver fumato uno spinello con i suoi compagni in gita scolastica, scavalcare il parapetto di un balcone di un albergo, per fare una passeggiata notturna sulla terrazza scarsamente illuminata. L'alunna cadeva dalla terrazza medesima, riportando gravissime ferite con conseguente invalidità totale. Mentre i giudici territoriali negavano alcuna responsabilità in capo all'albergatore, all'istituto scolastico ed all'insegnante che accompagnava i ragazzi in gita, la Suprema Corte ha riaperto la questione.
In merito alla presunta responsabilità dell'albergatore, bisogna ricordare come, secondo giurisprudenza consolidata, per la responsabilità da cosa in custodia, sia sufficiente un nesso causale tra l’evento e la cosa stessa. In particolare, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l’osservanza, o meno, di un obbligo di vigilanza; la nozione di custodia non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, essendo la funzione della norma quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta.
Tale tipologia di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito (da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato), fattore che attiene non già ad un comportamento del custode (che è irrilevante), ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità. Colui che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode, per liberarsi della sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
Secondo il giudice nomofilattico "con riferimento a cose intrinsecamente pericolose anche in rapporto alla possibilità di condotte potenzialmente auto lesive del loro fruitori, si è stabilita la necessità di valutare l’incidenza causale sugli eventi lesivi dell’omessa apposizione si segnalazioni idonee da parte del gestore della stessa conformazione della cosa e della consapevolezza, in rapporto alle circostanze del caso ed alle personali condizioni del danneggiato, per valutare la misura dell’eventuale concorrenza della condotta colposa della vittima, della pericolosità della cosa".
Nella fattispecie, ciò che rileva è la facile accessibilità dalla camera della vittima al solaio e non il fatto che l’accesso sia dovuto ad una condotta volontaria della vittima, che non aveva motivo di rappresentarsi l’insidiosità del solaio derivante dalla particolare conformazione e dalla carenza di segnalazioni e di illuminazione. In altre parole, non è possibilità qualificare come abnorme, o del tutto eccezionale la condotta di scavalcamento di una protezione di non particolare insuperabilità verso un’ampia superficie piana contigua, priva della doverosa segnalazione.
In relazione alla responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che, ai sensi dellart. 2048 c.c., grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente per insegnante la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, essendo necessario anche dimostrare di avere adottato tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale.
Nel caso di danno cagionato dell’alunno a sé medesimo, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che – quanto all’istituto scolastico- l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso.
Tra l'insegnante e l'allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona; "pertanto, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnate, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante".
D'altronde, come evidenziato dai giudici, è sempre presente il rischio che i minori, lasciati in balia di se stessi, possano compiere atti incontrollati e potenzialmente auto lesivi; all’istituzione scolastica è, quindi, imposto un obbligo di diligenza preventivo, consistente, in caso di gita scolastica, nella scelta di vettori e di strutture alberghiere che non presentino né al momento della loro scelta, né al momento della loro concreta fruizione, rischi o pericoli per l’incolumità degli alunni.